sabato 9 maggio 2009
CENTRO PER L’IMPIEGO LIVORNO E’ INDIETRO
Daniele Bettinetti
Sono da poco usciti risultati di Excelsior-Unioncamere 2008 (su dati 2007) che indica Livorno al penultimo posto in Toscana riguardo alla classifica relativa al numero di imprese che assumono lavoratori grazie ai servizi dei centri per l’impiego delle province. Al primo posto, su scala nazionale, Prato seguita da Firenze seconda delle toscane e terza in classifica nazionale e Livorno, appunto, penultima in Toscana e 24esima a livello italiano.
Il dato è significativo non tanto come giudizio di merito sull’operato dei servizi sul territorio, quanto per dare un’idea di quanto ancora si debba fare per rendere un servizio così importante ancora più efficiente oltretutto in un momento come questo di recessione in cui diventa strategica l’azione di governance, attraverso la qualità dei servizi, per dare risposte efficaci alla crisi economica.
In questa direzione si individuano anche nuovi percorsi della politica e del buon governo laddove si manifesta la possibilità, e questo già avviene anche in Toscana, di sperimentare percorsi nell’area lavoro e formazione che trovano un loro alto grado di efficacia attraverso la leva della promozione di meccanismi realmente partecipativi, che si basano sul coinvolgimento diretto dei principali attori coinvolti, imprese e cittadini. Il riferimento è sia ad iniziative promosse dalle istituzioni che da quelle derivanti dal mondo associativo.
E’ ad esempio l’esperienza recentissima dei Piani Integrati di Compartimento (Provincia di Pistoia), dove si sta sperimentando una programmazione degli interventi di formazione finanziata con il coinvolgimento diretto delle aziende fin dalla fase di programmazione (prima sperimentazione su tre comparti). Analogamente, ma partendo direttamente dal mondo associativo si è mossa la “ATM, Agorà per il Terzo Millennio” una metodologia di partecipazione, appositamente brevettata e già sperimentata con successo nel contesto del nuovo Sistema Regionale delle Competenze. E' nell'ambito di questo nuovo sistema che la Regione Toscana implementa un nuovo rapporto con il cittadino attraverso una maggiore garanzia di efficacia del sistema di qualificazione e certificazione delle competenze per meglio sincronizzarsi con le richieste del mondo del lavoro e preparare il terreno per la fase di ripresa futura.
Tutto questo per dire che il percorso è ancora lungo e siamo ancora all'inizio ma la strada pare ormai già tracciata verso una direzione in cui i meccanismi di partecipazione diverrano parte integrante di molti dei processi e delle strategie dei servizi sul territorio, in special modo riguardo ai servizi per il lavoro e la formazione. Questo implicherà, anche a breve, una condivisione delle buone prassi al fine di contribuire fin da subito ad alleviare e, si spera, contribuire a risolvere i pesanti problemi sollevati dal periodo di forte crisi globale che stiamo vivendo al fine di utilizzare tali competenze e metodologie partecipative al servizio dei cittadini, soprattutto quelli che si trovano maggiormente in difficoltà.
domenica 11 gennaio 2009
Rinnovamento possibile
Ci siamo già molto interrogati sulla questione di come il PD si deve proporre e, sempre di più, rischiamo di non avere tempo per riflettere e scambiare opinioni dato che la “cruda” realtà bussa alla porta e ci chiede risposte di valore su temi forti e su strategie riguardo a grandi problemi e soluzioni da proporre. A Livorno, come in altri territori, questa è ormai cronaca di tutti i giorni.
Premetto che mi piace essere fra coloro che più che parlare di soluzioni cerca di promuovere un dibattito, anche perché credo che dopo aver visto molte, tante riunioni ed assemblee in cui tanti di noi hanno detto qualcosa, occorre capire in modo dinamico che, per parafrasare Passigli alla festa della Costituzione a Livorno, non dobbiamo avere un’ “ansia da prestazione” cercando sempre e comunque di dare soluzioni definitive, ma metterci in un’ottica di costruzione in cui ognuno intuisce o propone un pezzetto e, nel modo opportuno e partecipato, si crea un puzzle leggibile che determina la nostra proposta politica.
I punti fondamentali, potrei, riassumere sono:
1) Rinnovare chi?
Il partito, come ogni organizzazione umana, è fatto principalmente di donne e uomini. Queste vengono prima di ogni ipotesi di struttura o gerarchia. La parola chiave e al contempo valore è la partecipazione. Partecipazione democratica, reale e da conquistare in modo dinamico.
Il modello proponibile? Quello dell’Agorà, la piazza aperta, senza preclusioni, dove le regole siano funzionali a valorizzare il libero scambio e non siano, al contrario un limite. In questo senso plaudo allo spirito di dichiarata apertura con cui, ad esempio, il Forum del Lavoro si rapporta con la grande quantità di persone che partecipano, anche via mail a distanza, ai contributi delle riunioni che si susseguono.
Non è un traguardo da raggiungere, ma un valore e uno “standard” da vivere in modo dinamico. L’obiettivo da porre è quindi sul significato, che cosa significa “partecipare” e sullo “stile” di partecipazione che vogliamo imprimere.
In questo senso aprirei se volete un momento di discussione per fare un primo bilancio dopo un anno e approfondire un’analisi sul “chi siamo”, partendo dal fondamento.
Prima ad ottobre 2007, eravamo solo “soci fondatori” adesso possiamo essere anche “iscritti”. Che cosa significa questo, è un cambiamento che ci sta portando verso un qualche modello di partecipazione o no. Se confrontiamo le cifre, circa 14.000 i fondatori del 2007 e circa 900 iscritti a un mese fa su Livorno (più altrettanti in tutta la provincia) verrebbe da pensare che sarebbe opportuno fare qualche riflessione, nel bene e nel male (e prima di farsi del male). Ovviamente non faccio riferimento al consenso legato alle elezioni, che ormai viaggia su logiche di interpretazione legate, appunto, ai “momenti” elettorali. Parlo della qualità e delle “quantità” della partecipazione che determinano poi la qualità del risultato politico di un partito.
2) Rinnovare cosa?
E’ ovvio che il discorso del “cosa” si va a riferire al modello organizzativo. E qui la faccio breve, dicendo solo che più che di regole o procedure mi piace ricordare il concetto che noi facciamo riferimento ad uno Statuto che, in quanto tale, contestualizza e dovrebbe tradurre in pratica quei valori che ci proponiamo di seguire. In questo senso il valore principe è sempre quello della partecipazione, a partire dalle attività dei circoli. I regolamenti ne devono essere la conseguenza e devono essere al servizio dello statuto e dei valori che rispecchia. Attenzione quindi a far si che i regolamenti attuativi siano realmente al “servizio” dell’applicazione di tali valori. Poterne discutere, da parte di tutti militanti e simpatizzanti, non è solo doveroso ma è la garanzia che le regole non violino, anche senza dolo, quei valori di partecipazione che abbiamo sancito. Di qui deve partire una cultura del confronto costruttivo, che può contemperare idee diverse, appunto, da confrontare e che non deve però far paura in quanto tale.
3) Rinnovare come?
Qui il discorso va sul metodo, ed in parte già prima accennato. L’agorà, un’organizzazione al servizio dei cittadini, simpatizzanti e iscritti e che si apre al confronto per trovare e condividere le migliori soluzioni. L’agorà contrapposta al “caminetto” nel senso che quest’ultimo semplicemente non serve più se esiste un’agorà che funziona e dei dirigenti che non gestiscono gerarchie ma coordinano iniziative, idee e soluzioni per farle condividere a tutta la “comunità sociale” che si chiama partito prima, società intera poi.
In definitiva potremmo quindi riassumere che “le persone” del PD, con i loro valori enunciati, si “organizzano” attraverso “metodi partecipativi” in un’Agorà aperta per produrre risultati e proposte politiche da consegnare all’intera comunità di cittadini.
In questa frase credo possa stare il nostro valore e anche la sfida, che è quella di individuare insieme il modo attraverso cui organizzare realmente questa agorà, questa piazza aperta in accordo con il significato profondo della nostra proposta politica e con la democraticità che ci caratterizza nel nome e ci deve caratterizzare sempre anche nello stile con cui agiamo politicamente.
Concludendo
Per prima cosa non dobbiamo avere paura di valutarci con serenità. Siamo nati da poco e se andiamo al di là delle diatribe elettorali e delle polemiche pretestuose possiamo solo farci del bene. E’ ovvio che siamo anche livornesi, in quanto tali nel nostro lato “buono” dovremmo essere abituati anche al confronto talvolta aspro ma sempre onesto e che alla fine arriva sempre ad una giusta mediazione. Il problema è che tale mediazione venga fatta per gli interessi di tutti e non solo su quelli di pochi, com’è ovvio. Altrimenti rischia di essere sempre al ribasso, senza condivisione vera e rinnegando la “partecipazione” come valore.
In questo senso, ad esempio, la domanda non è primarie “si o no”, ma “cui prodest” e, soprattutto, considerare tutti gli strumenti partecipativi, non solo uno. In un disegno di metodo che sia, quello si, chiaro e aperto. Se no possiamo fare primarie su tutto ma il risultato non cambierà mai.
In secondo luogo non dobbiamo avere paura di capire che per arrivare ad uno “standard politico” come quello che ci siamo dati fin dall’inizio della nascita del PD dobbiamo si “fonderci” e “sintetizzarci” anche culturalmente, e lo abbiamo detto fino a sfiancarci, ma dobbiamo soprattutto capire che tipo di competenze vogliamo mettere in campo. Come si fa a proporre un dibattito su come impostare processi di ricambio virtuosi di classi dirigenti politiche se non partiamo anche dalle competenze che occorrono per “fare politica” nel secondo millennio? Siena (la scuola di formazione del prossimo 16 gennaio) spero sia un’occasione utile su questa strada.
In terzo luogo, e come considerazione finale, non posso fare a meno di osservare come, in due parole, l’evoluzione politica degli ultimi decenni abbia, nella sostanza cercato di mettere da parte il concetto di partito come “formazione sociale” (suggellata anche dal dettato costituzionale) per dare spazio a fenomeni più riconducibili al movimentismo. Forza Italia ne è un esempio lampante. Questo tipo di evoluzione, che sintetizzo in modo estremo, c’è da chiedersi quanto abbia lasciato tramortito sul campo il valore della partecipazione democratica “de-facto”, che in quanto tale è il vero valore “vissuto” e sostanziale che ci deriva come insegnamento dai processi politici del dopoguerra.
Io credo che la nascita del PD come partito sia stata la manifestazione della volontà di mettere in pratica una proposta nuova e che non fosse solo “movimento”, proprio per garantire la più ampia partecipazione di tutti i cittadini. Il partito tradizionale si è evoluto e, grazie a noi, comincia un nuovo percorso di innovazione profonda. Non ce ne dimentichiamo mai ogni volta che stiamo per parlare, scrivere un articolo, prendere anche la più piccola delle decisioni come dirigenti a tutti i livelli, altrimenti si rischia di contare pochi iscritti e soprattutto di avere un’organizzazione senz’anima a discapito della democrazia stessa di un paese. Noi vogliamo essere il contrario e da Livorno dobbiamo far partire un messaggio forte e responsabile.
venerdì 1 agosto 2008
Il re è nudo: il PD e la questione Livorno
Già molte parole sono state spese per cercare di capire come il Partito Democratico stia prendendo forma, con quali caratteristiche e, più di tutti, se stia realmente rispondendo a quella fortissima domanda di partecipazione da parte dei propri elettori e di molti cittadini.
Livorno non sembra essere esente da tali sentimenti e il riferimento, l’ultimo in ordine temporale, al disagio espresso dalla coordinatrice del circolo di Ardenza Gabriella Cecchi ne è un chiarissimo esempio.
Io stesso, ormai da tempo, ho avuto molte occasioni per esprimere il mio (e non solo mio) disappunto di fronte a scelte molto dirigiste e poco partecipative, dalle liste bloccate per la costituente fino alla burla delle cosiddette “primariette”. L’ultima “chicca” è stata la (unica) assemblea comunale organizzata solo attraverso un susseguirsi di molti interventi generici su vari temi in cui nulla è stato deciso o almeno discusso nel dettaglio di problematiche specifiche. Questo è anche grave perché potrebbe significare il disprezzo (o l’incapacità) da parte della dirigenza locale nei confronti dell’unico organo decisionale comunale vero e partecipato che al momento abbiamo. Fa anche specie che, dall’interno del PD e dai propri delegati, non si levino grandi voci di protesta in merito, quanto meno per rispetto intellettuale.
Tutto questo è accaduto non solo grazie a responsabilità e scelte a livello nazionale ma è anche da imputare ad un alto livello di voluta inerzia almeno di parte dei gruppi dirigenti locali di ex DS e Margherita. E’ accaduto che, quando ci si è trovati a dover fare reali scelte di cambiamento, si è (hanno) deciso di continuare sulla strada suicida dei piccoli “manuali Cencelli” alla livornese piuttosto che seguire una strada nuova e partecipata. In due parole le priorità personali di pochi hanno avuto la meglio sull’interesse legittimo di molti. Dirigismo contro partecipazione, oligarchia e personalismo contro democrazia. E’ il colmo per un partito che si chiama democratico. Il caso del circolo di Ardenza ne è un chiaro esempio laddove, al di là del torto e della ragione, si costringe alle dimissioni una coordinatrice eletta direttamente e in modo trasparente solo pochi mesi fa come da Statuto e successive modifiche. Oltretutto in modo sciocco per gli stessi promotori di tale iniziativa poiché si è creato nei modi un precedente pericoloso. Infatti, al di là della bontà di ragioni specifiche, nulla potrebbe impedire ad altri circoli sia a Livorno che fuori di sentirsi in diritto di fare un proprio comitato interno autolegittimato e “licenziare” di fatto un coordinatore/trice democraticamente eletto. Questo in barba a quelle regole di partecipazione che ci stiamo faticosamente costruendo ma seguendo invece l’arroganza della politica molto urlata e poco riflettuta e discussa. E invece di costruire si distrugge (quel poco che c’è). Invece di crescere e risolvere problemi veri si regredisce e la gente, i cittadini, gli elettori sembrano andarsene. Giustamente, se questo è lo spettacolo offerto.
La domanda sostanziale però è: “Ma il partito democratico, quello vero, dov’è?”. La realtà sembra essere paradossalmente molto chiara. C’è un partito percepito come ‘finto’, che poi è quello che appare, e che tale sembra essere vissuto da molte persone a causa delle dinamiche prima espresse. Dopotutto è pur vero che non si può pensare di creare un partito senza passare attraverso momenti veramente partecipati e pretendere al contempo di essere amati dal ‘popolo’. Mica la gente è scema. La risposta alla domanda, forse anche troppo banale, è che il partito vero quello partecipato con passione, dove non si ha paura del confronto e neanche di primarie vere e meccanismi veramente democratici ebbene, quel partito è ancora tutto da costruire. Perché al di la delle organizzazioni e dei regolamenti al centro ci sono le persone. E se guardo i numeri questo partito “vero” che piano piano sta venendo fuori, magari timidamente ma in modo molto deciso, bene i numeri di chi sta nel “partito reale” sono veramente alti. Sono almeno gli stessi, circa 14000, che con entusiasmo hanno fondato il partito il 14 ottobre 2007 e forse altri ancora che non si conoscono. Sta a tutti coloro che credono nello spirito democratico e partecipativo mettere la parola fine e chiudere in modo deciso con i metodi che hanno molto poco di presente e tanto del peggior passato e che rischiano di far scappare a gambe levate molti di quei soci fondatori.
Daniele Bettinetti
venerdì 30 maggio 2008
Il presidio della politica
Esse est percipi. Berkeley, filosofo irlandese vissuto a cavallo fra 1600 e 1700, così risponderebbe a chi, attonito, si lasciasse andare ad imprecazioni ed improperi su quanto in basso siamo caduti come cittadini e società livornese dopo l’ennesimo incomprensibile assurdo scandalo che ci ha coinvolto con la vicenda della Porto di Livorno 2000. La percezione della realtà, e il senso di percezione di precarietà fatta sistema, laddove l’illegale diventa quasi una cruda normalità quotidiana. Il problema è che al di là del risultato negativo arrivare ora ad arrabbiarsi o lasciarsi andare al fatalismo significa assaporare la vera sconfitta sociale, nel momento in cui tutti ci domandiamo dove è stata Livorno, intesa come comunità sociale, mentre tutte queste “irregolarità” (per usare un eufemismo) si compivano in un arco temporale neanche troppo breve.
Se le accuse saranno confermate siamo di fronte a personaggi “disinvolti” che agivano con tutta tranquillità in un contesto altrettanto disinvolto in cui neanche una minima forma di controllo sociale formale o informale sembra essersi significativamente verificata, fino all’intervento dell’inchiesta giudiziaria. Usando una parola grossa, si potrebbe dire che un’alone di omertà ha serpeggiato e che al solito la politica, forse troppo occupata in comportamenti un po’ troppo autoreferenziali, non si è accorta minimamente di quello che accadeva, almeno in termini di coscienza condivisa.
Si, la politica. La politica istituzionale e quella dei partiti. Dove siamo stati? La domanda non è affatto retorica e, mi sembra, del tutto onesta e legittima. Anche perché non è la prima volta che la si pone, vedi altre questioni importanti che hanno avuto grande eco e conseguenze giudiziarie tipo la vicenda di Salviano 2. Anche in quel caso il silenzio e l’indifferenza sono poi calati e la politica è rimasta sostanzialmente senza parole, al di là di qualche polemica poi sfumata. E qui il problema non è di poco conto perché tale assenza può giustificare nel comune cittadino la percezione di una sorta di connivenza fra un sistema politico che sembra non intervenire in modo significativo, neanche dopo che gli scandali sono esplosi, e tali situazioni “irregolari” su cui interviene “solo” la magistratura.
Come se ne esce? Sicuramente anche questo caso propone il problema di come la politica e la governance dei processi stategici di un territorio si pone di fronte a certi fenomeni negativi. In altre parole potremmo dire che le deviazioni, per come poi saranno confermate dall’inchiesta, sono sicuramente state favorite in questo caso da un’assenza, ancora una volta, di un progetto specifico e di lungo respiro strategico sulla portualità. O quanto meno di un progetto capito e condiviso in maniera forte con tutti i cittadini e non solo, nella migliore delle ipotesi, fra gli addetti ai lavori o i diretti interessati.
Se non c’è una vision e un progetto forte anche l’attenzione “sociale” e pubblica (di tutti i cittadini) rischia sempre e comunque di venire meno e questo può aprire spazi anche a comportamenti “allegri” che nulla hanno a che fare con il bene pubblico e molto, a quanto sembrerebbe emergere, con interessi puramente personali o di “clan”. Di qui l’insegnamento per chi si occupa e vive la politica, sia come militante che come amministratore. Cioè il compito di cambiare la percezione di una società politica territoriale basata sugli interessi di clan o piccole lobby di interesse che interagiscono in modo autoreferenziale verso una politica che realmente eserciti, al contrario, il suo vero ruolo di guida e promozione. E questo si potrà realizzare solo attraverso la messa in pratica di strumenti di vera partecipazione e la promozione di un’altrettanto vera capacità di produzione di idee e proposte che si possano conglobare in un vero progetto. Questo è quello che molti chiedono e che sempre più sta diventando un’esigenza imprescindibile. In questo senso in particolare il PD, inteso sia come nuova esperienza politica che come partito in senso stretto, ha una funzione fondamentale e una via di metodo obbligata.
Il successo dell’azione del Partito Democratico, partito che a Livorno rappresenta la quasi totalità della classe dirigente che amministra la quasi totalità dei cosiddetti “poteri forti”, sarà infatti misurata sulle sue reali capacità di agire nella realtà. La capacità di apertura alle reali esigenze della realtà, la capacità di trasformare le istanze e le idee che ne derivano in progetti di ampio respiro e infine nella capacità di coinvolgere e di saper trovare su ogni tematica specifica le reali competenze e non solo, per come spesso purtroppo si percepisce nel senso comune i “politici che parlano solo di politica”.
Daniele Bettinetti
domenica 25 maggio 2008
Dove sta il progetto per Livorno?
Il problema fondamentale? Quello di cui molti sembrano non voler esplicitare del tutto ma che sta in un assunto quasi banale: la mancanza di un progetto e di progettualità. A tutti i livelli. La mancanza di una “governance” che tradotto significa che la politica non sta presidiando nessuna “vision”, né a medio né a lungo ternine. Manca il progetto politico, il progetto di sviluppo economico, il progetto sociale. Livorno soffre del male peggiore che si possa augurare cioè quello del “non fare” (peggio del “fare male”) e di chi vive nell’attesa di qualche segno dall’esterno e si ritrova poi, di fatto, a gestire fenomeni ed eventi in modo casuale. E’ così ormai da almeno dieci anni e noi, imperterriti nell’immobilismo, stiamo tutti continuando su questa strada passando il tempo, per cosi dire, a sviluppare dibattiti di basso respiro e, alla prova dei fatti, senza concludere gran ché in termini di prospettive di sviluppo solide nel futuro.
A livello politico il grande evento, portatore ancora oggi di una grande dose di fiducia e speranza, è stato sicuramente quello della nascita del Partito Democratico. Una grande occasione per provare ad invertire la rotta e a porre una condizione di progettualità di soluzioni e proposte per un territorio, com’è ruolo di un partito politico, sulla base della partecipazione come elemento fondante e strutturale. Tutto ok, anche se poi molte riserve sono venute fuori all’atto pratico, da molti me compreso, per un eccessivo dirigismo ed una massiccia dose di pura cooptazione in varie fasi. Ma mettiamo per ora da parte questo aspetto e parliamo di progetto politico. Una malelingua qualunque, osservando di sfuggita le cose livornesi, non potrebbe far a meno di notare oggettivamente due cose. La prima è che il PD, il partito che raccoglie tutta la classe dirigente e il “potere” di Livorno è di fatto la fotocopia dei vecchi DS, sia nello “stile” che nei nomi del “ponte di comando”. Quindi ci si chiede dove si possa intravedere il valore aggiunto di una fusione e dove sia la vera novità. Le domande al momento rimangono aperte. La seconda cosa è la mancanza di una proposta nei partiti e nel PD. Si discute di organizzazione, anche in modo legittimo, di primarie, tutto bello. Ma la proposta, il “Progetto per Livorno” per i prossimi cinque-dieci anni dove sta? Non dovrebbe essere la prima cosa su cui poi impostare una seria discussione? La paura è che in questo periodo di campagna elettorale per le amministrative, come al solito, sia semplicemente partita la (povera) caccia ai posti fine a se stessa e che al momento sia più importante scannarsi sui nomi e sugli organigrammi e non già sui programmi, che ad oggi non sono ancora usciti fuori.
No, io non ci sto. Non ci sto a vivere nel paradosso continuo di una città che non è sempre stata così e vanterebbe tuttora un potenziale altissimo di crescita e sviluppo. Non ci sto, a proposito di “dirigismo alla livornese”, a sentirmi suddito e a dover aspettare che qualcuno mi dica come comportarmi per “rispettare gli equilibri” mentre intorno il contesto diventa sempre più degradato. Non ci sto perché è un comportamento stupido, non fa parte della cultura politica da cui provengo e, fra l’altro, non è il motivo per il quale mi sto impegnando nel PD anzi esattamente il contrario. La prima e urgente domanda, rivolta a tutti e non solo ad una parte politica quindi rimane: “Dov’è il progetto per Livorno?” Soprattutto su questo e non solo sui nomi si dovrà giocare la vera partita elettorale.
Daniele Bettinetti
venerdì 25 aprile 2008
Esopo, 25 aprile e Partito Democratico
I topi e le donnole (favola di Esopo)
n. 237
Era scoppiata la guerra tra i topi e le donnole. I topi che venivano sempre sconfitti, fecero una riunione tutti insieme e conclusero che la causa dei loro insuccessi era la mancanza di un capo. Di conseguenza, dopo aver scelto alcuni di loro, per alzata di mano li nominarono strateghi. Costoro, per distinguersi dagli altri, fabbricarono delle corna e se le applicarono. Ma, quando divampò la battaglia, i topi, sbaragliati in massa, cercarono rifugio nei buchi e, mentre tutti gli altri vi si insinuarono facilmente, i capi non riuscirono a infilarsi per colpa delle corna. E così vennero catturati e divorati.
Nello stesso modo la vanagloria è per molti fonte di guai.
Pubblico la favola di Esopo solo come pretesto "leggero" per ricordare oggi, 25 aprile, l'insegnamento della storia che vale ancora oggi riguardo al giusto equilibrio fra autorità e autorevolezza, che sta alla base della nostra società civile e politica.
La troppa autorità che porta all'autoritarismo e di contro l'autorevolezza che si basa su un riconoscimento di valore della persona e di leadership volontariamente riconosciuto dai cittadini. Il timore contro la stima e i pericoli dell'indifferenza latente di oggi rispetto a certe tematiche.
Pensando alla festa della liberazione, se ci interessa uscire un minimo da pericoli di retorica di circostanza, credo sia importante riprendere questi concetti per due motivi. Il primo è ricordare come la Repubblica sia nata dopo un'esperienza dura di vent'anni di dittatura e da una guerra mondiale e il secondo è quanto ci sia utile di ricordare tutto ciò come insegnamento storico nella nostra vita di donne e uomini del secondo millennio.
Il ricordo porta a momenti storici importanti, su cui oggi saranno spese innumerevoli parole, e giustamente. Pensiamo però che la vita tutto sommato "tranquilla", rispetto a quei periodi storici, che ci possiamo permettere di condurre oggi non ci deve far perdere la percezione di quanto importante e fondamentale sia il nostro esercizio di partecipazione che ognuno di noi deve e può esprimere nella propria vita tutti i giorni. Non mi riferisco ovviamente solo al momento politico-elettorale, quanto alle esperienze che con tempi diversi possiamo realmente contribuire a costruire, come sta accadendo a molti di noi che si stanno impegnando nella costruzione di una nuova formazione politica, quale il Partito Democratico.
Quindi, senza farla lunga, l'augurio che ognuno di noi ricordi sempre, nell'esercizio delle proprie responsabilità grandi e piccole, che la partecipazione è democrazia, che questa è stata una nostra conquista, costata la vita di molti nostri concittadini nel passato, e che quindi ne dobbiamo sentire con umiltà il peso anche in dimensioni che sembrano più piccole e limitate come quelle della costruzione di un partito su scala locale. La dimensione territoriale infatti non può e non sminuisce la portata dei valori implicati. E infine, per tornare a Esopo, che in democrazia l'autorevolezza si conquista attraverso la stima di coloro che delegano. Ciò significa che anche se abbiamo una porcata di legge elettorale, che di per sé annulla il meccanismo di scelta dei candidati e quindi di delega attraverso il voto eccettuato per la sola scelta del partito, pensiamo che dobbiamo operare ogni giorno e fin dal nostro piccolo per tornare a far affermare una politica veramente"autorevole" e degna di rispetto. In questo senso il nostro neonato PD, anche attraverso la funzione strategica dei circoli territoriali, rappresenta sicuramente una grande occasione.
Buon 25 aprile a tutti.
Daniele
venerdì 18 aprile 2008
La mia sulle elezioni. L'opinione di Davide Cecio
Aggiungo inoltre che sono onorato di ospitare questo suo intervento pubblico, il primo da quattro anni a questa parte, da quando cioè Davide è stato investito dalle vicende giudiziarie che tutti conosciamo e che si sono concluse, è opportuno ricordarlo, con una assoluzione al primo grado di giudizio. Di seguito il testo.
"All’indomani del voto ho ricevuto una valanga di mail più o meno illustri che mi chiedevano di conoscere la mia opinione su quanto è avvenuto. Un amico in particolare ha articolato la sua richiesta corredandola di domande a cui ho così risposto…
Caro Davide come stai?
Credetemi non è mai scontato parteciparmi il vostro affetto e la vostra amicizia…
Ho letto un sacco di opinioni sulle recenti elezioni sai regalarmi qualcosa di originale da condividere magari con gli amici al bar?
Beh, magari darà di te una dimensione come dire un tantino… controcorrente.
Io credo che la responsabilità maggiore della sconfitta sia da imputare alla cronologia delle scelte di Veltroni. Molto si è detto ma secondo la mia opinione le ragioni di questa sconfitta hanno già nelle primarie, che hanno di fatto costituito il nuovo soggetto politico, un fondamento ineludibile della sconfitta elettorale.
Il confronto con due esponenti del Governo Prodi ha sancito, come ebbi a dire già a suo tempo, un distinguo tra chi si riconosceva in un difficile impegno volto a garantire al paese condizioni di ripresa magari orientandosi nel difficile compito di mediazione con forze così diverse e chi magari aprendo ad un dialogo con il centrodestra prefigurava nuove condizioni di Governo.
Vedi formalmente Prodi è caduto per mano di Mastella ma è palese che dapprima la politica e le leggi non hanno saputo difendere un assunto costituzionale che sanciva l’innocenza di qualsiasi imputato, nella fattispecie il Ministro della Giustizia e leader di un partito della Coalizione di Governo, sino a prova contraria. Su questo ti prego di riflettere conscio che ciò che una persona perde negli strascichi mediatici e giudiziari di questo paese non te la restituisce nessuno tantomeno una sentenza di assoluzione.
Veltroni alla vigilia di uno scandalo cavalcato da quanti hanno visto nella politica il ricettacolo del malessere del paese (la Casta) e clamorosamente smentiti dal dato elettorale che ha visto trionfare il campione dell’antipolitica penalizzando la partecipazione e l’approfondimento, ha pensato fosse utile indicare nella scelta solitaria del PD un distinguo percepibile, non ce lo scordiamo, alla vigilia di un Referendum che avrebbe ulteriormente accentuato un indirizzo bipolare a scapito della partecipazione delle forze politiche più piccole. Questa è secondo me la più irragionevole delle scelte del leader del nostro partito. Molti sostengono immaginasse di poter flirtare con Berlusconi per garantire una nuova legge elettorale, di fatto ha pensionato l’esperienza Prodi e rimandato Berlusconi al Governo.
…e ora?...cosa ci aspetta?
Odio perdere. Per me una Coalizione che era al Governo ed ora è all’opposizione dovrebbe comunque riflettere sulle scelte fatte ed invece troppo spesso in politica si eludono le responsabilità a vantaggio dei dati positivi. Il Partito Democratico è sicuramente la novità del panorama politico italiano e in prospettiva credo porterà questa forza al governo del paese ma ha scapito di che? Tralascio ogni giudizio sul Governo di Centro destra, vedremo quanti degli impegni assunti in campagna elettorale riuscirà quelle forze a rispettare ma trovo allucinante che parti da considerarsi in milioni di elettori non trovino rappresentatività in parlamento. Mio padre ha militato nel Sindacato in anni difficili quando la contrapposizione la si esprimeva in piazza con bulloni e molotov quando non con il terrorismo e le stragi, tornassi indietro, specie conscio del risultato del PD livornese, il mio voto andrebbe alla Sinistra Arcobaleno. Credo che ora andrà profuso un impegno ulteriore specie nei luoghi di lavoro in testa con quel Sindacato che da tempo rischia di perdere una funzione di coagulo democratico della forza lavoro. Aspettiamoci tempi difficili ma ti raccomando un impegno serio dalla parrocchia al partito perché si eluda la via della violenza, io dalla mia aspetterò una sentenza d’appello che prefiguri per me nuovi scenari…magari mi deciderò a fare un figlio come sentore di speranza nel futuro, e mi restituisca definitivamente quella serenità che le mie scelte politiche mi hanno brutalmente tolto.
E Livorno?
Come mi disse una volta un prete “con tutte le lacrime che hai versato per la tua città ci si potrebbe riempire un acquasantiera in duomo”.
Amo la mia città, e nel contempo vorrei starne lontano per apprezzarne i soli pregi e dimenticare le enormi contraddizioni di un popolo fiero e provinciale. Odio svegliarmi la mattina e leggere il giornale dove colgo mille richiami a ragioni che mi portarono a fare allora scelte coraggiose di confronto con il partito di maggioranza relativa, scelte che ho pagato con sofferenza nel silenzio desolante degli amici più cari di quel partito che ho amato e che ha rinnegato se stesso per scelte di comodo. Leggo che si studia per presentarci da soli alle prossime elezioni ma non ne colgo in termini politici una sostanziale novità. A Livorno ha comandato sempre e solo il Partito Comunista poi DS, da loro prescindono qualsivoglia decisione e il confronto serio langue da sempre a scapito di una classe dirigente che fa la padrona a casa nostra ma con il dato più alto per consensi in Italia non ha personalità significative ne nel Partito regionale ne tantomeno in quello nazionale.
Credo che Livorno sarà terreno di scontro su un modello di sviluppo che abbisogna per stare al passo del Mercato e della Globalizzazione del contributo di tutte le forze imprenditoriali e politiche. Doveroso sarà uscire da una dinamica autoreferenziale, lo ha espresso con pragmatismo Matteoli nei giorni scorsi a mezzo stampa, difficile sarà secondo me il ruolo di un Sindaco chiamato a trovare una sintesi tra le necessità del buongoverno e nel contempo a garantirsi un consenso interno al proprio partito che gli dia la possibilità di proseguire un quinquennio difficile.
Credo doveroso che su questo modello di sviluppo si trovi presto una convergenza e spero che il richiamo a vicende giudiziarie denunciate ante elezioni dal Presidente dell’Autorità Portuale non inaspriscano il confronto sulla città.
Un abbraccio
Davide"