venerdì 30 maggio 2008

Il presidio della politica

Intervento pubblicato su "Corriere di Livorno" del 30 maggio 2008

Esse est percipi. Berkeley, filosofo irlandese vissuto a cavallo fra 1600 e 1700, così risponderebbe a chi, attonito, si lasciasse andare ad imprecazioni ed improperi su quanto in basso siamo caduti come cittadini e società livornese dopo l’ennesimo incomprensibile assurdo scandalo che ci ha coinvolto con la vicenda della Porto di Livorno 2000. La percezione della realtà, e il senso di percezione di precarietà fatta sistema, laddove l’illegale diventa quasi una cruda normalità quotidiana. Il problema è che al di là del risultato negativo arrivare ora ad arrabbiarsi o lasciarsi andare al fatalismo significa assaporare la vera sconfitta sociale, nel momento in cui tutti ci domandiamo dove è stata Livorno, intesa come comunità sociale, mentre tutte queste “irregolarità” (per usare un eufemismo) si compivano in un arco temporale neanche troppo breve.
Se le accuse saranno confermate siamo di fronte a personaggi “disinvolti” che agivano con tutta tranquillità in un contesto altrettanto disinvolto in cui neanche una minima forma di controllo sociale formale o informale sembra essersi significativamente verificata, fino all’intervento dell’inchiesta giudiziaria. Usando una parola grossa, si potrebbe dire che un’alone di omertà ha serpeggiato e che al solito la politica, forse troppo occupata in comportamenti un po’ troppo autoreferenziali, non si è accorta minimamente di quello che accadeva, almeno in termini di coscienza condivisa.
Si, la politica. La politica istituzionale e quella dei partiti. Dove siamo stati? La domanda non è affatto retorica e, mi sembra, del tutto onesta e legittima. Anche perché non è la prima volta che la si pone, vedi altre questioni importanti che hanno avuto grande eco e conseguenze giudiziarie tipo la vicenda di Salviano 2. Anche in quel caso il silenzio e l’indifferenza sono poi calati e la politica è rimasta sostanzialmente senza parole, al di là di qualche polemica poi sfumata. E qui il problema non è di poco conto perché tale assenza può giustificare nel comune cittadino la percezione di una sorta di connivenza fra un sistema politico che sembra non intervenire in modo significativo, neanche dopo che gli scandali sono esplosi, e tali situazioni “irregolari” su cui interviene “solo” la magistratura.
Come se ne esce? Sicuramente anche questo caso propone il problema di come la politica e la governance dei processi stategici di un territorio si pone di fronte a certi fenomeni negativi. In altre parole potremmo dire che le deviazioni, per come poi saranno confermate dall’inchiesta, sono sicuramente state favorite in questo caso da un’assenza, ancora una volta, di un progetto specifico e di lungo respiro strategico sulla portualità. O quanto meno di un progetto capito e condiviso in maniera forte con tutti i cittadini e non solo, nella migliore delle ipotesi, fra gli addetti ai lavori o i diretti interessati.
Se non c’è una vision e un progetto forte anche l’attenzione “sociale” e pubblica (di tutti i cittadini) rischia sempre e comunque di venire meno e questo può aprire spazi anche a comportamenti “allegri” che nulla hanno a che fare con il bene pubblico e molto, a quanto sembrerebbe emergere, con interessi puramente personali o di “clan”. Di qui l’insegnamento per chi si occupa e vive la politica, sia come militante che come amministratore. Cioè il compito di cambiare la percezione di una società politica territoriale basata sugli interessi di clan o piccole lobby di interesse che interagiscono in modo autoreferenziale verso una politica che realmente eserciti, al contrario, il suo vero ruolo di guida e promozione. E questo si potrà realizzare solo attraverso la messa in pratica di strumenti di vera partecipazione e la promozione di un’altrettanto vera capacità di produzione di idee e proposte che si possano conglobare in un vero progetto. Questo è quello che molti chiedono e che sempre più sta diventando un’esigenza imprescindibile. In questo senso in particolare il PD, inteso sia come nuova esperienza politica che come partito in senso stretto, ha una funzione fondamentale e una via di metodo obbligata.
Il successo dell’azione del Partito Democratico, partito che a Livorno rappresenta la quasi totalità della classe dirigente che amministra la quasi totalità dei cosiddetti “poteri forti”, sarà infatti misurata sulle sue reali capacità di agire nella realtà. La capacità di apertura alle reali esigenze della realtà, la capacità di trasformare le istanze e le idee che ne derivano in progetti di ampio respiro e infine nella capacità di coinvolgere e di saper trovare su ogni tematica specifica le reali competenze e non solo, per come spesso purtroppo si percepisce nel senso comune i “politici che parlano solo di politica”.
Daniele Bettinetti

domenica 25 maggio 2008

Dove sta il progetto per Livorno?

Dal "Corriere di Livorno" del 25 maggio 2008

Come disse Martin Luther King: “Iniziamo a morire il giorno in cui diventiamo indifferenti”. Livorno non è sempre stata così e continuare ad essere indifferenti al declino e, di contro, alla proposta di ricette e rimedi casuali e di fatto strutturalmente inefficaci significa solo dare la spinta finale nella discesa. Mi riferisco in particolare alle analisi recenti del Prof. Massimo Paoli espresse pubblicamente e che in gran parte condivido.
Il problema fondamentale? Quello di cui molti sembrano non voler esplicitare del tutto ma che sta in un assunto quasi banale: la mancanza di un progetto e di progettualità. A tutti i livelli. La mancanza di una “governance” che tradotto significa che la politica non sta presidiando nessuna “vision”, né a medio né a lungo ternine. Manca il progetto politico, il progetto di sviluppo economico, il progetto sociale. Livorno soffre del male peggiore che si possa augurare cioè quello del “non fare” (peggio del “fare male”) e di chi vive nell’attesa di qualche segno dall’esterno e si ritrova poi, di fatto, a gestire fenomeni ed eventi in modo casuale. E’ così ormai da almeno dieci anni e noi, imperterriti nell’immobilismo, stiamo tutti continuando su questa strada passando il tempo, per cosi dire, a sviluppare dibattiti di basso respiro e, alla prova dei fatti, senza concludere gran ché in termini di prospettive di sviluppo solide nel futuro.
A livello politico il grande evento, portatore ancora oggi di una grande dose di fiducia e speranza, è stato sicuramente quello della nascita del Partito Democratico. Una grande occasione per provare ad invertire la rotta e a porre una condizione di progettualità di soluzioni e proposte per un territorio, com’è ruolo di un partito politico, sulla base della partecipazione come elemento fondante e strutturale. Tutto ok, anche se poi molte riserve sono venute fuori all’atto pratico, da molti me compreso, per un eccessivo dirigismo ed una massiccia dose di pura cooptazione in varie fasi. Ma mettiamo per ora da parte questo aspetto e parliamo di progetto politico. Una malelingua qualunque, osservando di sfuggita le cose livornesi, non potrebbe far a meno di notare oggettivamente due cose. La prima è che il PD, il partito che raccoglie tutta la classe dirigente e il “potere” di Livorno è di fatto la fotocopia dei vecchi DS, sia nello “stile” che nei nomi del “ponte di comando”. Quindi ci si chiede dove si possa intravedere il valore aggiunto di una fusione e dove sia la vera novità. Le domande al momento rimangono aperte. La seconda cosa è la mancanza di una proposta nei partiti e nel PD. Si discute di organizzazione, anche in modo legittimo, di primarie, tutto bello. Ma la proposta, il “Progetto per Livorno” per i prossimi cinque-dieci anni dove sta? Non dovrebbe essere la prima cosa su cui poi impostare una seria discussione? La paura è che in questo periodo di campagna elettorale per le amministrative, come al solito, sia semplicemente partita la (povera) caccia ai posti fine a se stessa e che al momento sia più importante scannarsi sui nomi e sugli organigrammi e non già sui programmi, che ad oggi non sono ancora usciti fuori.
No, io non ci sto. Non ci sto a vivere nel paradosso continuo di una città che non è sempre stata così e vanterebbe tuttora un potenziale altissimo di crescita e sviluppo. Non ci sto, a proposito di “dirigismo alla livornese”, a sentirmi suddito e a dover aspettare che qualcuno mi dica come comportarmi per “rispettare gli equilibri” mentre intorno il contesto diventa sempre più degradato. Non ci sto perché è un comportamento stupido, non fa parte della cultura politica da cui provengo e, fra l’altro, non è il motivo per il quale mi sto impegnando nel PD anzi esattamente il contrario. La prima e urgente domanda, rivolta a tutti e non solo ad una parte politica quindi rimane: “Dov’è il progetto per Livorno?” Soprattutto su questo e non solo sui nomi si dovrà giocare la vera partita elettorale.
Daniele Bettinetti