Già molte parole sono state spese per cercare di capire come il Partito Democratico stia prendendo forma, con quali caratteristiche e, più di tutti, se stia realmente rispondendo a quella fortissima domanda di partecipazione da parte dei propri elettori e di molti cittadini.
Le risposte, a quanto si sta evidenziando, non sono molto incoraggianti e si stanno manifestando “sacche” sempre più ampie di elettori del PD che di fronte a grandi aspettative di democrazia partecipativa si sono sentiti e si sentono oggettivamente delusi.
Livorno non sembra essere esente da tali sentimenti e il riferimento, l’ultimo in ordine temporale, al disagio espresso dalla coordinatrice del circolo di Ardenza Gabriella Cecchi ne è un chiarissimo esempio.
Io stesso, ormai da tempo, ho avuto molte occasioni per esprimere il mio (e non solo mio) disappunto di fronte a scelte molto dirigiste e poco partecipative, dalle liste bloccate per la costituente fino alla burla delle cosiddette “primariette”. L’ultima “chicca” è stata la (unica) assemblea comunale organizzata solo attraverso un susseguirsi di molti interventi generici su vari temi in cui nulla è stato deciso o almeno discusso nel dettaglio di problematiche specifiche. Questo è anche grave perché potrebbe significare il disprezzo (o l’incapacità) da parte della dirigenza locale nei confronti dell’unico organo decisionale comunale vero e partecipato che al momento abbiamo. Fa anche specie che, dall’interno del PD e dai propri delegati, non si levino grandi voci di protesta in merito, quanto meno per rispetto intellettuale.
Tutto questo è accaduto non solo grazie a responsabilità e scelte a livello nazionale ma è anche da imputare ad un alto livello di voluta inerzia almeno di parte dei gruppi dirigenti locali di ex DS e Margherita. E’ accaduto che, quando ci si è trovati a dover fare reali scelte di cambiamento, si è (hanno) deciso di continuare sulla strada suicida dei piccoli “manuali Cencelli” alla livornese piuttosto che seguire una strada nuova e partecipata. In due parole le priorità personali di pochi hanno avuto la meglio sull’interesse legittimo di molti. Dirigismo contro partecipazione, oligarchia e personalismo contro democrazia. E’ il colmo per un partito che si chiama democratico. Il caso del circolo di Ardenza ne è un chiaro esempio laddove, al di là del torto e della ragione, si costringe alle dimissioni una coordinatrice eletta direttamente e in modo trasparente solo pochi mesi fa come da Statuto e successive modifiche. Oltretutto in modo sciocco per gli stessi promotori di tale iniziativa poiché si è creato nei modi un precedente pericoloso. Infatti, al di là della bontà di ragioni specifiche, nulla potrebbe impedire ad altri circoli sia a Livorno che fuori di sentirsi in diritto di fare un proprio comitato interno autolegittimato e “licenziare” di fatto un coordinatore/trice democraticamente eletto. Questo in barba a quelle regole di partecipazione che ci stiamo faticosamente costruendo ma seguendo invece l’arroganza della politica molto urlata e poco riflettuta e discussa. E invece di costruire si distrugge (quel poco che c’è). Invece di crescere e risolvere problemi veri si regredisce e la gente, i cittadini, gli elettori sembrano andarsene. Giustamente, se questo è lo spettacolo offerto.
La domanda sostanziale però è: “Ma il partito democratico, quello vero, dov’è?”. La realtà sembra essere paradossalmente molto chiara. C’è un partito percepito come ‘finto’, che poi è quello che appare, e che tale sembra essere vissuto da molte persone a causa delle dinamiche prima espresse. Dopotutto è pur vero che non si può pensare di creare un partito senza passare attraverso momenti veramente partecipati e pretendere al contempo di essere amati dal ‘popolo’. Mica la gente è scema. La risposta alla domanda, forse anche troppo banale, è che il partito vero quello partecipato con passione, dove non si ha paura del confronto e neanche di primarie vere e meccanismi veramente democratici ebbene, quel partito è ancora tutto da costruire. Perché al di la delle organizzazioni e dei regolamenti al centro ci sono le persone. E se guardo i numeri questo partito “vero” che piano piano sta venendo fuori, magari timidamente ma in modo molto deciso, bene i numeri di chi sta nel “partito reale” sono veramente alti. Sono almeno gli stessi, circa 14000, che con entusiasmo hanno fondato il partito il 14 ottobre 2007 e forse altri ancora che non si conoscono. Sta a tutti coloro che credono nello spirito democratico e partecipativo mettere la parola fine e chiudere in modo deciso con i metodi che hanno molto poco di presente e tanto del peggior passato e che rischiano di far scappare a gambe levate molti di quei soci fondatori.
Daniele Bettinetti
Livorno non sembra essere esente da tali sentimenti e il riferimento, l’ultimo in ordine temporale, al disagio espresso dalla coordinatrice del circolo di Ardenza Gabriella Cecchi ne è un chiarissimo esempio.
Io stesso, ormai da tempo, ho avuto molte occasioni per esprimere il mio (e non solo mio) disappunto di fronte a scelte molto dirigiste e poco partecipative, dalle liste bloccate per la costituente fino alla burla delle cosiddette “primariette”. L’ultima “chicca” è stata la (unica) assemblea comunale organizzata solo attraverso un susseguirsi di molti interventi generici su vari temi in cui nulla è stato deciso o almeno discusso nel dettaglio di problematiche specifiche. Questo è anche grave perché potrebbe significare il disprezzo (o l’incapacità) da parte della dirigenza locale nei confronti dell’unico organo decisionale comunale vero e partecipato che al momento abbiamo. Fa anche specie che, dall’interno del PD e dai propri delegati, non si levino grandi voci di protesta in merito, quanto meno per rispetto intellettuale.
Tutto questo è accaduto non solo grazie a responsabilità e scelte a livello nazionale ma è anche da imputare ad un alto livello di voluta inerzia almeno di parte dei gruppi dirigenti locali di ex DS e Margherita. E’ accaduto che, quando ci si è trovati a dover fare reali scelte di cambiamento, si è (hanno) deciso di continuare sulla strada suicida dei piccoli “manuali Cencelli” alla livornese piuttosto che seguire una strada nuova e partecipata. In due parole le priorità personali di pochi hanno avuto la meglio sull’interesse legittimo di molti. Dirigismo contro partecipazione, oligarchia e personalismo contro democrazia. E’ il colmo per un partito che si chiama democratico. Il caso del circolo di Ardenza ne è un chiaro esempio laddove, al di là del torto e della ragione, si costringe alle dimissioni una coordinatrice eletta direttamente e in modo trasparente solo pochi mesi fa come da Statuto e successive modifiche. Oltretutto in modo sciocco per gli stessi promotori di tale iniziativa poiché si è creato nei modi un precedente pericoloso. Infatti, al di là della bontà di ragioni specifiche, nulla potrebbe impedire ad altri circoli sia a Livorno che fuori di sentirsi in diritto di fare un proprio comitato interno autolegittimato e “licenziare” di fatto un coordinatore/trice democraticamente eletto. Questo in barba a quelle regole di partecipazione che ci stiamo faticosamente costruendo ma seguendo invece l’arroganza della politica molto urlata e poco riflettuta e discussa. E invece di costruire si distrugge (quel poco che c’è). Invece di crescere e risolvere problemi veri si regredisce e la gente, i cittadini, gli elettori sembrano andarsene. Giustamente, se questo è lo spettacolo offerto.
La domanda sostanziale però è: “Ma il partito democratico, quello vero, dov’è?”. La realtà sembra essere paradossalmente molto chiara. C’è un partito percepito come ‘finto’, che poi è quello che appare, e che tale sembra essere vissuto da molte persone a causa delle dinamiche prima espresse. Dopotutto è pur vero che non si può pensare di creare un partito senza passare attraverso momenti veramente partecipati e pretendere al contempo di essere amati dal ‘popolo’. Mica la gente è scema. La risposta alla domanda, forse anche troppo banale, è che il partito vero quello partecipato con passione, dove non si ha paura del confronto e neanche di primarie vere e meccanismi veramente democratici ebbene, quel partito è ancora tutto da costruire. Perché al di la delle organizzazioni e dei regolamenti al centro ci sono le persone. E se guardo i numeri questo partito “vero” che piano piano sta venendo fuori, magari timidamente ma in modo molto deciso, bene i numeri di chi sta nel “partito reale” sono veramente alti. Sono almeno gli stessi, circa 14000, che con entusiasmo hanno fondato il partito il 14 ottobre 2007 e forse altri ancora che non si conoscono. Sta a tutti coloro che credono nello spirito democratico e partecipativo mettere la parola fine e chiudere in modo deciso con i metodi che hanno molto poco di presente e tanto del peggior passato e che rischiano di far scappare a gambe levate molti di quei soci fondatori.
Daniele Bettinetti