Come disse Martin Luther King: “Iniziamo a morire il giorno in cui diventiamo indifferenti”. Livorno non è sempre stata così e continuare ad essere indifferenti al declino e, di contro, alla proposta di ricette e rimedi casuali e di fatto strutturalmente inefficaci significa solo dare la spinta finale nella discesa. Mi riferisco in particolare alle analisi recenti del Prof. Massimo Paoli espresse pubblicamente e che in gran parte condivido.
Il problema fondamentale? Quello di cui molti sembrano non voler esplicitare del tutto ma che sta in un assunto quasi banale: la mancanza di un progetto e di progettualità. A tutti i livelli. La mancanza di una “governance” che tradotto significa che la politica non sta presidiando nessuna “vision”, né a medio né a lungo ternine. Manca il progetto politico, il progetto di sviluppo economico, il progetto sociale. Livorno soffre del male peggiore che si possa augurare cioè quello del “non fare” (peggio del “fare male”) e di chi vive nell’attesa di qualche segno dall’esterno e si ritrova poi, di fatto, a gestire fenomeni ed eventi in modo casuale. E’ così ormai da almeno dieci anni e noi, imperterriti nell’immobilismo, stiamo tutti continuando su questa strada passando il tempo, per cosi dire, a sviluppare dibattiti di basso respiro e, alla prova dei fatti, senza concludere gran ché in termini di prospettive di sviluppo solide nel futuro.
A livello politico il grande evento, portatore ancora oggi di una grande dose di fiducia e speranza, è stato sicuramente quello della nascita del Partito Democratico. Una grande occasione per provare ad invertire la rotta e a porre una condizione di progettualità di soluzioni e proposte per un territorio, com’è ruolo di un partito politico, sulla base della partecipazione come elemento fondante e strutturale. Tutto ok, anche se poi molte riserve sono venute fuori all’atto pratico, da molti me compreso, per un eccessivo dirigismo ed una massiccia dose di pura cooptazione in varie fasi. Ma mettiamo per ora da parte questo aspetto e parliamo di progetto politico. Una malelingua qualunque, osservando di sfuggita le cose livornesi, non potrebbe far a meno di notare oggettivamente due cose. La prima è che il PD, il partito che raccoglie tutta la classe dirigente e il “potere” di Livorno è di fatto la fotocopia dei vecchi DS, sia nello “stile” che nei nomi del “ponte di comando”. Quindi ci si chiede dove si possa intravedere il valore aggiunto di una fusione e dove sia la vera novità. Le domande al momento rimangono aperte. La seconda cosa è la mancanza di una proposta nei partiti e nel PD. Si discute di organizzazione, anche in modo legittimo, di primarie, tutto bello. Ma la proposta, il “Progetto per Livorno” per i prossimi cinque-dieci anni dove sta? Non dovrebbe essere la prima cosa su cui poi impostare una seria discussione? La paura è che in questo periodo di campagna elettorale per le amministrative, come al solito, sia semplicemente partita la (povera) caccia ai posti fine a se stessa e che al momento sia più importante scannarsi sui nomi e sugli organigrammi e non già sui programmi, che ad oggi non sono ancora usciti fuori.
No, io non ci sto. Non ci sto a vivere nel paradosso continuo di una città che non è sempre stata così e vanterebbe tuttora un potenziale altissimo di crescita e sviluppo. Non ci sto, a proposito di “dirigismo alla livornese”, a sentirmi suddito e a dover aspettare che qualcuno mi dica come comportarmi per “rispettare gli equilibri” mentre intorno il contesto diventa sempre più degradato. Non ci sto perché è un comportamento stupido, non fa parte della cultura politica da cui provengo e, fra l’altro, non è il motivo per il quale mi sto impegnando nel PD anzi esattamente il contrario. La prima e urgente domanda, rivolta a tutti e non solo ad una parte politica quindi rimane: “Dov’è il progetto per Livorno?” Soprattutto su questo e non solo sui nomi si dovrà giocare la vera partita elettorale.
Daniele Bettinetti
Il problema fondamentale? Quello di cui molti sembrano non voler esplicitare del tutto ma che sta in un assunto quasi banale: la mancanza di un progetto e di progettualità. A tutti i livelli. La mancanza di una “governance” che tradotto significa che la politica non sta presidiando nessuna “vision”, né a medio né a lungo ternine. Manca il progetto politico, il progetto di sviluppo economico, il progetto sociale. Livorno soffre del male peggiore che si possa augurare cioè quello del “non fare” (peggio del “fare male”) e di chi vive nell’attesa di qualche segno dall’esterno e si ritrova poi, di fatto, a gestire fenomeni ed eventi in modo casuale. E’ così ormai da almeno dieci anni e noi, imperterriti nell’immobilismo, stiamo tutti continuando su questa strada passando il tempo, per cosi dire, a sviluppare dibattiti di basso respiro e, alla prova dei fatti, senza concludere gran ché in termini di prospettive di sviluppo solide nel futuro.
A livello politico il grande evento, portatore ancora oggi di una grande dose di fiducia e speranza, è stato sicuramente quello della nascita del Partito Democratico. Una grande occasione per provare ad invertire la rotta e a porre una condizione di progettualità di soluzioni e proposte per un territorio, com’è ruolo di un partito politico, sulla base della partecipazione come elemento fondante e strutturale. Tutto ok, anche se poi molte riserve sono venute fuori all’atto pratico, da molti me compreso, per un eccessivo dirigismo ed una massiccia dose di pura cooptazione in varie fasi. Ma mettiamo per ora da parte questo aspetto e parliamo di progetto politico. Una malelingua qualunque, osservando di sfuggita le cose livornesi, non potrebbe far a meno di notare oggettivamente due cose. La prima è che il PD, il partito che raccoglie tutta la classe dirigente e il “potere” di Livorno è di fatto la fotocopia dei vecchi DS, sia nello “stile” che nei nomi del “ponte di comando”. Quindi ci si chiede dove si possa intravedere il valore aggiunto di una fusione e dove sia la vera novità. Le domande al momento rimangono aperte. La seconda cosa è la mancanza di una proposta nei partiti e nel PD. Si discute di organizzazione, anche in modo legittimo, di primarie, tutto bello. Ma la proposta, il “Progetto per Livorno” per i prossimi cinque-dieci anni dove sta? Non dovrebbe essere la prima cosa su cui poi impostare una seria discussione? La paura è che in questo periodo di campagna elettorale per le amministrative, come al solito, sia semplicemente partita la (povera) caccia ai posti fine a se stessa e che al momento sia più importante scannarsi sui nomi e sugli organigrammi e non già sui programmi, che ad oggi non sono ancora usciti fuori.
No, io non ci sto. Non ci sto a vivere nel paradosso continuo di una città che non è sempre stata così e vanterebbe tuttora un potenziale altissimo di crescita e sviluppo. Non ci sto, a proposito di “dirigismo alla livornese”, a sentirmi suddito e a dover aspettare che qualcuno mi dica come comportarmi per “rispettare gli equilibri” mentre intorno il contesto diventa sempre più degradato. Non ci sto perché è un comportamento stupido, non fa parte della cultura politica da cui provengo e, fra l’altro, non è il motivo per il quale mi sto impegnando nel PD anzi esattamente il contrario. La prima e urgente domanda, rivolta a tutti e non solo ad una parte politica quindi rimane: “Dov’è il progetto per Livorno?” Soprattutto su questo e non solo sui nomi si dovrà giocare la vera partita elettorale.
Daniele Bettinetti
1 commento:
Concordo che non è tempo di attese o di semplici bubbolii. Troppo spesso si affrontano i problemi a giornata o con programmazione di intervento troppo breve, con errori o imprecisioni conseguenti. Negli ultimi due anni anche in altre sedi, che vedevano presenti associazioni di imprenditori e organizzazioni dei lavoratori, si avvertiva con sempre maggiore urgenza la mancanza di un progetto condiviso per un arco non breve. L’affanno col quale ci si scambiavano pareri e valutazioni era evidente. Evidenti, la lentezza con la quale si stava procedendo al recupero della deindustrializzazione dell’area del capoluogo o al consolidamento strutturale del Porto di Livorno; l’annebbiamento in tutta l’area vasta di possibili sbocchi progettuali d’insieme; lo spreco delle risorse o l’utilizzo non strategico della formazione per accrescere la qualità dello stock professionale disponibile; l’affanno finanziario in cui era costretta ad operare l’attuale giunta del capoluogo; la mancanza di una strategia per il rinnovo del quadro dirigente.
Sì. Ci stiamo avvitando sulle nostre debolezze. Dobbiamo, tutti insieme, assumere l’iniziativa di un reale rinnovamento.
Una delle domande poste è: ma dov’è l’opposizione, quella di qualità? Se l’uno non ride, l’altro non piange.
Sono d’accordo: da qualche parte si deve ricominciare.
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