Intervento pubblicato su "Il Tirreno" ottobre 2007
Primarie si, primarie no. Il Partito Democratico è nato e già ci ha stupito. Io sono stato fra quelli che, contribuendo nel mio piccolo a tale processo da tempo, ha criticato certi metodi cooptativi nella composizione delle liste e, talvolta, un certo spirito dirigista che spesso affiora in questa complessa fase costituente di un nuovo partito. Ma inevitabilmente alcuni risultati di metodo, che si possono definire come patrimonio di tutta la politica e non solo di un partito, hanno già dato qualche segnale importante e che in molti, me compreso, non si aspettavano.
Mi riferisco al fatto che alcune liste interpretate e nate come “istituzionali”, laddove erano cioè presenti diversi elementi importanti di vari establishment locali (sindaci e amministratori locali in primo luogo), abbiano perso consensi in un contesto complessivamente positivo per i modi e i numeri della partecipazione al voto. Guarda un po’, la “gente” ha votato un segretario e contemporaneamente ha espresso un giudizio sul governo locale. Perché volenti o nolenti questo è successo e bisogna prenderne atto senza nascondersi dietro presunti errori o fraintendimenti di loghi sulle schede, perché si rischia di offendere l’intelligenza di tutti coloro che sono andati a votare.
Quindi, in mezzo a tutte le innumerevoli e approfondite analisi che si stanno facendo, credo sia importante non perdere di vista la sostanza di quanto accaduto. Il problema è cioè di proseguire sulla strada intrapresa e di non deludere le attese di chi votando ha dato fiducia a questo grande cambiamento. In quest’ottica, un volta tanto, è la partecipazione delle persone che dà indicazioni alla politica e sicuramente lo strumento e il metodo delle primarie, per quanto migliorabile su alcuni aspetti, rappresenta un punto di non ritorno.
Non comprendo, francamente, come si possa mettere minimamente in dubbio che ora che è nato il PD non si debba procedere ad utilizzare il metodo delle primarie locali a cominciare dalle prossime elezioni amministrative almeno per la scelta del sindaco.
Il passato è già storia, finito. E con queste primarie si deve capire che è anche finita l’era dei linguaggi criptici e che si ritorna, attraverso la fase costituente, a dare veramente valore alla politica. E deve finire anche l’era degli “automatismi” di mandato e di carica e che chi è chiamato a guidare una città o andrà a fare il segretario del PD anche a livello locale, dovrà essere scelto da tutti gli elettori e simpatizzanti del partito, non dalle cosiddette “oligarchie”. L’abbiamo fatto per il segretario nazionale e quelli regionali, perché non possiamo farlo a livello locale? Il dibattito è aperto, la fase costituente è cominciata, la fiducia di chi ha votato non va tradita. A noi tutti non rimane che vigilare e contribuire in modo propositivo a tale lavoro, nell’interesse di tutta la comunità politica.
Daniele Bettinetti
Primarie si, primarie no. Il Partito Democratico è nato e già ci ha stupito. Io sono stato fra quelli che, contribuendo nel mio piccolo a tale processo da tempo, ha criticato certi metodi cooptativi nella composizione delle liste e, talvolta, un certo spirito dirigista che spesso affiora in questa complessa fase costituente di un nuovo partito. Ma inevitabilmente alcuni risultati di metodo, che si possono definire come patrimonio di tutta la politica e non solo di un partito, hanno già dato qualche segnale importante e che in molti, me compreso, non si aspettavano.
Mi riferisco al fatto che alcune liste interpretate e nate come “istituzionali”, laddove erano cioè presenti diversi elementi importanti di vari establishment locali (sindaci e amministratori locali in primo luogo), abbiano perso consensi in un contesto complessivamente positivo per i modi e i numeri della partecipazione al voto. Guarda un po’, la “gente” ha votato un segretario e contemporaneamente ha espresso un giudizio sul governo locale. Perché volenti o nolenti questo è successo e bisogna prenderne atto senza nascondersi dietro presunti errori o fraintendimenti di loghi sulle schede, perché si rischia di offendere l’intelligenza di tutti coloro che sono andati a votare.
Quindi, in mezzo a tutte le innumerevoli e approfondite analisi che si stanno facendo, credo sia importante non perdere di vista la sostanza di quanto accaduto. Il problema è cioè di proseguire sulla strada intrapresa e di non deludere le attese di chi votando ha dato fiducia a questo grande cambiamento. In quest’ottica, un volta tanto, è la partecipazione delle persone che dà indicazioni alla politica e sicuramente lo strumento e il metodo delle primarie, per quanto migliorabile su alcuni aspetti, rappresenta un punto di non ritorno.
Non comprendo, francamente, come si possa mettere minimamente in dubbio che ora che è nato il PD non si debba procedere ad utilizzare il metodo delle primarie locali a cominciare dalle prossime elezioni amministrative almeno per la scelta del sindaco.
Il passato è già storia, finito. E con queste primarie si deve capire che è anche finita l’era dei linguaggi criptici e che si ritorna, attraverso la fase costituente, a dare veramente valore alla politica. E deve finire anche l’era degli “automatismi” di mandato e di carica e che chi è chiamato a guidare una città o andrà a fare il segretario del PD anche a livello locale, dovrà essere scelto da tutti gli elettori e simpatizzanti del partito, non dalle cosiddette “oligarchie”. L’abbiamo fatto per il segretario nazionale e quelli regionali, perché non possiamo farlo a livello locale? Il dibattito è aperto, la fase costituente è cominciata, la fiducia di chi ha votato non va tradita. A noi tutti non rimane che vigilare e contribuire in modo propositivo a tale lavoro, nell’interesse di tutta la comunità politica.
Daniele Bettinetti